Don Antonio Marcaccini fu una figura chiave della guerra della Valconca, egli anche grazie alla presenza del comunista, Gianni Quandamatteo, riesce a costruire un’importante rete antifascista nella zona. L’attività messa in campo dai resistenti in quel territorio fu ingente, proprio a Farneto soggiornò anche Decio Mercanti, importante componente del Cln di Rimini che in fuga dai fascisti si nascose anche nella canonica di Don Marcaccini.
La frequentazione di quei luoghi spinse Mercanti a richiedere al rappresentate del CUMER (Comando unico militare Emilia Romagna) di fare un sopralluogo per verificare se fosse possibile creare una brigata partigiana nella bassa Romagna. La proposta fu respinta per il fatto che la zona non era adatta al mantenimento di un grande numero di partigiani.
A inizio luglio il prete partecipò all’assalto del comune di Gemmano per distruggere lo schedario della popolazione con lo scopo di evitare la chiamata alle armi repubblichina. Nell'incursione si prelevarono anche alcuni documenti e carte d'identità in bianco inviate a Bologna, al CUMER. Ma l’episodio per cui Don Marcaccini rimase famoso avvenne il 6 settembre 1944, quando i tedeschi furono sulle tracce di Gianni Quondamatteo che riuscì a fuggire dalla canonica e si rifugiò in un canalone nel Rio Ventena. Come ritorsione i tedeschi presero 6 uomini dai dai rifugi limitrofi minacciandoli di fucilazione per aver aiutato la fuga di Quondamatteo. Il parroco, don Antonio Marcaccini, tentò di salvarli spiegando che Quondamatteo non è un partigiano e che loro erano innocenti. Dopo inutili pressioni don Marcaccini si offrì al posto dei 6 per la fucilazione; il gesto convinse l’ufficiale tedesco a liberare gli ostaggi ed a lasciare il paese.